Recensione di Francesca Bogliolo

 

11046285_10208357040912933_6885902189787046021_n-300x200Dalle opere di Aldo Righetti traspare un fascino metafisico che, attraverso la semplicità, permette di approcciarsi spontaneamente a un mondo “altro”, uno spazio in cui, come sosteneva Agostino da Ippona, il tempo è distensio animi, un estendersi dell’anima che regala all’uomo la misura del tempo stesso. Sulla tela, l’artista imprime l’eco delle sensazioni che sgorgano dalla sua esperienza di vita, modificandola in modo definitivo così come accade con l’atto artistico su una qualsiasi superficie. Se ciò che viene misurato dall’anima non sono le cose nel loro trascorrere, ma il sentimento che esse lasciano e che resta in noi anche quando esse sono ormai passate, è l’anima che permette al tempo di esistere, e consente all’artista di coglierne le affezioni con accuratezza e rigore stilistico. Nel tempo creatore in cui l’opera d’arte si rivela si coglie un intervallo che non è altro singolo momento, qui e ora, presente continuo che non termina quando l’opera è realizzata ed esposta: le opere di Righetti si rivelano sospese in un istante fatto di operazioni concettuali, di attività manuale impregnata di tradizione, di sensibilità personale, di studio della storia dell’arte, di esposizione e contemplazione dell’opera. Il senso di stupore che deriva dall’osservare le opere di Righetti è immerso in una dimensione positiva e serena, è la stessa sensazione che si dovrebbe provare ogni giorno davanti alle ineffabili bellezze della vita. Misurati equilibri formali veicolano la consapevolezza che sotto l’apparente semplicità si nasconda una complessità di pensiero e riflessione. Nella dimensione onirica racchiusa tra accurati dettagli trova spazio un prezioso retaggio dell’infanzia, veicolato dalla materia che, attraverso un sapiente e misurato utilizzo mantiene intatte le proprie potenzialità. La componente creativa non risulta filtrata dalla visione razionale tipica dell’età adulta: in tutto il percorso di Righetti si assiste al recupero sano della spontaneità infantile che, scevra da sovrastrutture, rimanda a profondi significati, che alludono ai misteri della vita. L’artista sembra aderire alla visione di Magritte, che sosteneva “i miei quadri sono stati concepiti per essere segni materiali della libertà di pensiero. Mirano, in tutta l’estensione del possibile, a non demeritare del significato, ossia dell’impossibile.” L’impressione che se ne ricava è quella di trovarsi davanti a ricordi lontani, risonanze di tempi e significati immaginabili, da contemplare nella loro quieta bellezza. Un’esperienza intima e magica che ci mostra come il tempo, attraverso la visione poetica dell’artista, possa assumere contorni personalizzati, guidando chi osserva in un labirinto di concatenazioni mentali che conducono dall’immagine al ricordo nitido, dalla sensazione alla percezione reale, dalla materia allo stato d’animo inespresso. La sintesi formale e lo stile originale articolano nuovi significati in un tempo in cui l’unica dimensione possibile è quella del ricordo e dell’eco della memoria. Un alfabeto onirico complesso conduce l’osservatore in un istante di quiete immobile, permettendogli di indagare la dimensione spaziale attraverso la propria libertà immaginativa; la superficie stessa diventa elemento cromatico portante, condizionando la percezione di chi guarda. I diversi livelli di profondità spaziale analizzati coincidono con altrettanti e molteplici livelli di introspezione emotiva dell’artista, teso a indagare e a far esplorare i limiti e le potenzialità dell’uomo.

29/12/2015