Recensione della Dott.ssa Daria Passaponti

La nuova collezione di Aldo Righetti, esposta presso la Fabbrica del Vapore di Milano dal 9 all’ 11 settembre in occasione di Milano Scultura, potrebbe essere già riassunta attraverso le parole perfezione, elevazione e armonia. Ma non è questa la sede per riassumere. L’obiettivo è quello di addentrarci nei meandri degli Intrecci che l’artista ha tessuto per noi, organizzando un microcosmo all’interno del quale l’obiettivo sembra essere, in egual misura, quello di perdersi e ritrovarsi. Aldo Righetti, con umiltà che non cede mai alla falsa modestia, ricorda fin da subito che non ha inventato niente; perché? Perché le forme frattali e la geometria, protagoniste della collezione, esistono già in natura: proprio da qui l’artista coglie costantemente l’ispirazione per il suo lavoro che, proprio come la natura stessa, è sempre in evoluzione e mai uguale a se stesso. Il risultato, a livello visivo, è sempre quello di un intreccio di forme, di linee, di volumi più o meno percettibili, che necessita di un occhio attento e voglioso di conoscere per poter essere interpretato. Dopotutto, comprendere non è sempre necessario. Righetti ce lo insegna decidendo di tenere per sé alcuni aspetti relativi all’origine dei materiali da lui utilizzati nelle opere, che però sono, nella maggior parte dei casi, di riuso, che vengono sapientemente posti in un’armonia mai lasciata al caso, naturale, geometrica, in un intreccio puro. C’è sempre un profondo amore e rispetto per il monde nelle sue declinazioni microscopiche, che viaggiano in un continuo rimbalzo tra universo e dettaglio. Un elemento ricorrente e protagonista è quello del cerchio: la forma circolare, nella sua assoluta purezza e armonia, possiede un’aura che proviene sia dal cielo, dall’universo, che dalla terra, dalla concretezza delle cose, che nelle opere dell’artista si staglia sempre come un valore primigenio. Il cerchio è, invero, un elemento archetipico forte, con un simbolismo poliedrico e fondamentale, ma per Righetti assume anche un altro significato, legato all’infanzia. La dimensione fanciullesca rimane sempre come substrato poetico in tutte le sue creazioni; entrando nel merito della forma del cerchio, questa rimanda alla forma dell’aiuola presente nel cortile della scuola d’infanzia dell’artista, che aveva la funzione di proteggere un albero e dei fiori che si trovavano al suo interno. Tale elemento è indicativo di come l’immaginario dell’artista, base per il suo repertorio poetico, attinga da un’ infanzia passata in campagna, nella natura, nel suo paese originario Bracelli. Partendo dalla descrizione di questa scuola (ora in stato di vergognoso abbandono) Righetti ricorda la bellezza della possibilità di vivere a contatto con la natura, a contatto con i valori ancestrali portati dalle stagioni, immerso nella quotidianità di paese. In Intrecci Righetti mette in scena una percezione celestiale, una costante ricerca di elevazione che si concretizza attraverso la volontà di creare un’altra dimensione più vicina al concetto di ultraterreno, nonostante le radici delle sue creazioni si trovino proprio sulla terra, nella natura, nel suolo; nonostante ciò, l’artista talvolta ha bisogno di evadere – mai in modo violento – da questo cerchio. I confini realizzati all’interno delle sue creazioni non sono mai ostacoli invalicabili, sono linee guida conformi alla sua percezione relativa a quell’attimo particolare, a quell’istante di profonda pace e bellezza, che restituisce al mondo attraverso le sue opere. Nella collezione Intrecci l’artista si pone diversi obiettivi: uno di questi è indubbiamente la messa in discussione della materialità, attraverso questi scambi di energie, minime a livello di volumi ma importanti a livello simbolico. La dimensione simbolica è certamente uno spazio all’interno del quale l’artista ha deciso di abitare e, con un lavoro fatto di passione e disciplina, di rendere sempre più vicino a se stesso e a ciò che lo circonda. In questo senso si possono considerare gli input che derivano da alcuni aspetti particolari in certi Intrecci, che possono essere relativi a delle forme definite dall’artrista stesso “neuronali”, come se fossero elementi “attivatori di memoria”, che ci invitano a cosiderare la dimensione mnemonica invece di quella percettiva contemporanea. Possiamo meglio avvicinarci anche ai cerchi, che solo superficialmente sembrano essere fini a se stessi, ma con un’analisi e una forza di volontà maggiore si possono studiare con lo sguardo fino ad arrivare molto vicino al microcosmo creato dall’artista. In tale misura, diventa davvero rilevante il contesto e il background artistico-poetico in cui Righetti trova alcune delle sue radici: è l’Italia dell’ Arte Povera che l’artista sente di doversi rapportare, è con Giovanni Anselmo, con Pino Pascali, con Alighiero Boettti e, tra gli altri, con Giuseppe Penone che pare instaurarsi una sorta di dialogo rispettoso e unico. Ma se troviamo l’Italia degli anni ’70 e ’80 da un lato, dall’altro si scorge invece anche una vicinanza al fascino della verità denunciata dalla Pop Art, una verità ostentata e dichiarata, ravvisabile nella potenziale serialità di determinate opere che, nonostante non siano mai uguali a loro stesse, dichiarano velatamente (e solo a chi è in grado di vedere) che sì, una potenziale riproducibilità e serialità esiste. Non viene posta in essere solo ed unicamente per volontà dell’artista, per attiva presa di posizione: dopotutto, Righetti si pone in una condizione di perenne evoluzione e scoperta graduale, vietandosi ogni limite e ogni costrizione. In Intrecci esiste dunque una dimensione simbolica da cui possono partire infiniti stimoli, come una poliedrica lente di ingrandimento sul creato. Ulteriore aspetto fondamentale è quello relativo alla dinamica del gioco, che non si vuole mai esporre come estrema e assoluta protagonista, bensì come presenza latente. Essa, sussurante come la voce di un bambino, si insinua dolcemente nelle asticelle lignee, nelle sovrapposizioni di bianco (figlie in parte delle consapevolezze portate da Piero Manzoni), nelle forme archetipiche circolari di questi Intrecci; al pari dell’aiuola da cui esse provengono, queste forme circolari hanno una funzione protettiva verso ciò che si trova all’interno. Creando un segno di confine, Righetti definisce lo spazio d’azione di un’identità. Il punto, tuttavia, è: quale identità? L’identità è un concetto chiave, che spesso l’artista sente a rischio, come se venisse sottoposto a eccessivi colpi e contraccolpi: ciò avviene a causa dell’attuale periodo storico, periodo in cui, secondo la percezione dell’artista, l’individuo si perde nella perenne oscillazione tra se stesso e la collettività, rischiando di non trovare un’equilibrio. L’opera di Righetti si inserisce in questa oscillazione perenne, alla stregua di un bastone “tra le ruote della contemporaneità”. Una contemporaneità che percepisce come ammalata, pulsante di dolore, in un consumismo che ormai sanguina, ma che si presenta come condizione fondante per la creazione delle opere: questo perché, come egli stesso ha ribadito, l’artista si pone come “tramite” tra il pubblico e un consumismo che, inconsapevolmente, produce esso stesso le opere, le quali, tramite la mano e la mente di Righetti, diventano opere d’arte.